Lapis specularis, il vetro dei romani - Mercoledì dell'archivio

L’archeologa Chiara Guarnieri ha raccontato la scoperta in Romagna di una cava di lapis specularis attiva in età imperiale.

Il gruppo speleologico Speleo Gam Mezzano nel novembre 2000 ha casualmente rinvenuto nella Vena del gesso romagnola una cava di lapis specularis, un gesso secondario particolarmente trasparente, attiva in età romana.  
Con questa affascinante premessa Chiara Guarnieri, archeologa della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio ha ricostruito i passaggi che hanno portato al riconoscimento nel 2009 di questa cava come una di quelle citate da Plinio il Vecchio nel 36° libro della Naturalis Historia, laddove racconta di un’importante zona di estrazione di lapis vicino a Bologna.

Si tratta di un ritrovamento importante poiché questo minerale, utilizzato per fini architettonici, veniva estratto in Italia solo in questa zona e in Sicilia. Inoltre, il fatto che l’estrazione del minerale sia stata apparentemente interrotta dopo il VI secolo d.C. ha permesso la conservazione fino ai nostri giorni di numerosi reperti e delle tracce di scalpellature e nicchie per lucerne sulle pareti. La cava più grande e articolata si trova nella Grotta della lucerna, alle pendici di Monte Mauro, vicino a Brisighella. In questa grotta sono stati rinvenuti diversi oggetti (lucerne, monete) che hanno portato alla datazione del suo sfruttamento in due periodi distinti, nel I e II secolo d.C. e nel IV-VI secolo d.C.

Il lapis specularis, così detto appunto per la sua trasparenza, veniva lavorato in lastre sottilissime e usato in età imperiale come sostituto del vetro per le finestre delle abitazioni; il vetro allora disponibile, infatti, non era particolarmente trasparente e virava al verde-azzurro. L’estrazione e lavorazione del lapis era una produzione di nicchia, ma con un importante movimento di merci a livello internazionale, tanto che manufatti della più importante cava europea, localizzata in Spagna, sono stati ritrovati a Pompei. Proprio la ricostruzione della rete di scambi è al momento oggetto di studio della soprintendenza e di un gruppo di studiosi, composto da geologi, speleologi e archeologi.

Nei pressi di monte Mauro, in località Ca’ Carné, sono stati rinvenuti i resti di un’abitazione che potrebbe essere la dimora del delegato incaricato di sovrintendere le estrazioni. Anche su questo fronte continuano gli studi e le ricerche per raccogliere maggiori informazioni sulle attività che circondavano la cava. Nella zona sono state trovate altre 15 cave, con tracce di attività umana: tra queste c’è la cava di Ca’ Toresina, che è stata studiata anche attraverso una sua ricostruzione in 3D.

Come si è formato il lapis specularis

Il gesso secondario deriva da un processo di dissoluzione e ricristallizzazione del gesso primario, dovuto all’azione dell’acqua. La Vena del Gesso romagnola, così come tutte le aree del bacino del Mediterraneo in cui si trova questo materiale, sono frutto dell’evaporazione del mare in epoca Messiniana (7,246-5,332 milioni di anni fa).
Il corpo principale della Grotta della lucerna presenta chiaramente i segni dell’erosione carsica nella roccia incassante, la selenite, nelle cui fratture su cui si inseriscono le vene del gesso secondario, ossia il lapis specularis. Accanto all’ambiente principale, si sviluppano poi i cunicoli artificiali scavati dall’uomo per seguire le vene del gesso e permetterne l’estrazione.

Per approfondire
Esistono due siti dedicati al lapis specularis:
- uno italiano, focalizzato sui ritrovamenti avvenuti in Romagna
- uno spagnolo, che racconta dei ritrovamenti avvenuti nella Meseta spagnola presso Cuenca-Segobriga, città romana nelle cui vicinanze sono state trovate le più grandi cave di lapis che si conoscono fino ad oggi.

 

                     grotta lucerna                       Ca' Toresina

Foto a sinistra: la Grotta della lucerna

Foto a destra: la grotta di Ca' Toresina

Foto (c) Piero Lucci

ultima modifica 2020-03-26T16:28:51+02:00
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